Mi hanno proposto di scrivere sulle origini del Passo dopo Passo durante il simpatico pranzetto nella baita al termine dell’ultimo Trofeo Sormano 1000. Adesso mantengo la mia promessa.

Sono una di quelli che c’erano proprio all’inizio, fine degli anni ’70, anche se allora ero una bimbetta.Delle origini ricordo quello che la mia coscienza di bambina mi permetteva di comprendere. Eravamo quattro o cinque famiglie con la passione dello sci da fondo, o meglio, i nostri genitori erano degli sciatori e tra di loro molto amici. Allora le famiglie non erano come quelle di oggi. Oggi i genitori vanno in palestra nella pausa pranzo, a giocare a calcetto alla sera e durante il giorno fanno da taxista tra le mille attività dei figli. Allora no. Se i genitori sciavano anche i figli sciavano. Se gli zii correvano anche i nipoti correvano. Se i cugini andavano in montagna, si andava in montagna. Era una passione e un’amicizia che coinvolgeva in modo naturale e semplice, noi bambini non abbiamo fatto altro che trovarci in mezzo. Nasceva così il lo spirito del PdP, che ancora non era lo sci club Passo dopo Passo.

Di quei primissimi anni ho il chiaro ricordo della fatica dello “stare dietro” e stando dietro, dell’imparare guardando, attenta a non perdere “il passo”. Gli anni passavano e quel gruppo di bambini diventavano ragazzi e ragazze. Non basta più tirarli dietro, la cosa deve diventare affascinante. E’ allora, sempre nella mia percezione, che il PdP diventa un vero sci club, con tanto di allenatore qualificato, gare agonistiche, allenamenti programmati, divisa ufficiale con tanto di borsa marchiata e anche una vera e propria sede. Una struttura seria, adeguata alle nuove esigenze. In questa seconda fase, il Passo dopo Passo assume la chiara fisionomia di un luogo dove degli adulti si impegnano in una proposta educativa. Primo perché è una società sportiva, e quindi veicola tutti i valori che lo sport porta con se. Ma non solo. L’attenzione a noi ragazzi deborda la sfera sportiva. Nasce in quegli anni ad esempio l’operazione “nonno felice” per cui una volta alla settimana andavamo a trovare un nonno alla casa di riposo del quartiere gallaratese “Casa Comina”.

E poi c’è il giornalino che si scrive a macchina e per consegnarlo si prende l’autobus e si va in giro per Milano. Tra noi ragazzi si era amici. Nessuno è scampato ai terribili scherzi tra ragazze e ragazzi durante le trasferte, le risate continue, ma anche le grandi avventure, le imprese di altissimo livello e i risultati per alcuni veramente apprezzabili. Chi faceva il PdP però, non eravamo solo noi ragazzi (ci chiamavano la squadra agonistica), ma anche i suoi maestri. Maestri veri, non solo allenatori, ma adulti che indicavano una strada, che rischiavano se stessi per trasmettere un significato delle cose, che educavano insomma.

I ragazzi sono cresciuti. Si sono sposati, sono a loro volta dei genitori. Personalmente non scio più, non partecipo a corse né podistiche né ciclistiche (mio marito comincia a pensare che le coppe che riempiono due mensole le abbia comprate in un negozio). E’ stato tempo perso? Neanche per sogno! Quello che oggi rimane è la chiara consapevolezza che quelle amicizie e quelle esperienze mi hanno accompagnato nel “diventare grande” in un certo modo, con ideali che ora apprezzo più che mai. A quelli che oggi guidano e a quelli che oggi seguono dico “coraggio”, la strada cominciata porta molto lontano.